L’allontanamento dei giudici dalle aule di giustizia mina i principi costituzionali di terzietà e di indipendenza. Inoltre aumentando la carenza di organico rispetto al carico di lavoro, si allungano i tempi dei processi. L’associazione Italiastatodidiritto propone alcune riforme per risolvere il problema a priori
Tratto dadel 19 marzo 2022
di Guido Camera
È iniziata la discussione in commissione giustizia della Camera degli emendamenti del Governo alla riforma dell’ordinamento giudiziario proposta, nel marzo 2020, da parte dell’allora ministro della Giustizia Bonafede. Dal 28 marzo dovrebbe iniziare la discussione in Aula, per giungere alla votazione in tempi brevi. È dunque un momento molto importante per capire quale riforma uscirà dal Parlamento.
C’è un aspetto della riforma che è cruciale per lo Stato di diritto: si tratta del diffuso fenomeno del distaccamento dei magistrati presso ministeri, autorità e altri apparati pubblici.
Attualmente, la prassi del distaccamento dei magistrati verso incarichi non giudiziari, è quantitativamente rilevante, con gravi ricadute negative sotto almeno due punti di vista: da una parte i distacchi sottraggono risorse fondamentali a una giurisdizione in sofferenza endemica nella gestione dei carichi di lavoro, per carenze strutturali di organico, che determinano le ben note lesioni al principio di ragionevole durata del processo che caratterizzano la giustizia italiana; dall’altra, l’allontanamento dei magistrati dalle aule di giustizia mina i principi costituzionali di terzietà e di indipendenza del giudice.
Alcuni dati consentono di capire dimensioni e rilevanza del problema. Al 30 giugno 2021, erano pendenti oltre 2 milioni e mezzo di procedimenti penali ordinari per circa 9000 magistrati ordinari (inclusi quelli che si occupano di diritto civile e di giustizia minorile): un numero, in tutta evidenza, che rende impossibile gestire un tale carico di lavoro.
La migrazione dei giudici nei ministeri, interessa significativamente in particolare anche la magistratura amministrativa incidendo innanzitutto sulla sua efficienza: attualmente sono distaccati o fuori ruolo circa 80 magistrati su 400, ovvero il 20% di una magistratura amministrativa che, sistematicamente, a ciascuna inaugurazione di anno giudiziario, lamenta l’inadeguatezza dei propri ruoli.
Ma quei distaccamenti determinano un vero corto circuito rispetto al principio della terzietà della magistratura e della separazione dei poteri: infatti i giudici dell’azione dell’Amministrazione si spostano ai vertici degli apparati di governo e del potere legislativo (che è ormai quasi soltanto di iniziativa governativa) apparentemente per garantire la qualità degli atti normativi, regolamentari o amministrativi. In tal modo, tuttavia, i giudici distaccati scrivono le leggi che sono poi chiamati ad applicare, e possono assicurare alla loro azione amministrativa una sorta di vaglio preventivo di indulgenza da parte dell’apparato giudiziario di appartenenza, formato da colleghi che attendono il ritorno in ruolo del magistrato temporaneamente distaccato.
Occorre infatti considerare che i magistrati amministrativi (ma altrettanto può dirsi con riguardo ai magistrati contabili) esercitano il loro sindacato proprio sull’attività amministrativa dei Ministeri, delle Autorità e di ogni altra Amministrazione, sicché la loro assunzione di incarichi istituzionali presso un’Amministrazione equivale all’immedesimazione del controllante nel controllato o, se si preferisce, alla sua immedesimazione in una sola (quella pubblica) delle parti sottoposte al suo giudizio.
Questa esperienza non determina soltanto un evidente deficit di terzietà in capo al magistrato che rientra in ruolo dopo un periodo trascorso presso un Ministero, ma in realtà contagia irrimediabilmente l’intero corpo giudiziario anche durante il suo incarico extra giurisdizionale: è infatti difficile sfuggire all’impressione che i Ministeri, insieme alle qualità professionali del magistrato, si assicurino anche la benevolenza con cui i suoi colleghi saranno chiamati a giudicarne l’attività amministrativa.
Il magistrato fuori ruolo, infine, rinuncia temporaneamente alla propria indipendenza dal potere politico cui, anzi, si pone al diretto servizio e al suo ritorno nei ruoli della magistratura, qualunque sia la funzione che gli sarà affidata, l’indipendenza è perduta per sempre. Un corto circuito che è sempre stato formalmente giustificato dalla necessità di garantire la qualità degli atti normativi, regolamentari o amministrativi, necessità che, tuttavia, non spiega il ricorso alla magistratura, considerata la possibilità di attingere alle stesse competenze facendo ricorso a docenti universitari o ad avvocati.
Le proposte emendative del Governo, rispetto al passato, vanno nella giusta direzione, ma sono ancora troppo timide.
Le nuove disposizione proposte tendono a disciplinare prevalentemente il fenomeno delle c.d. porte girevoli – consistente nella attività dei magistrati che hanno ricoperto incarichi elettivi di natura politica – senza considerare che sono analoghi, se non addirittura più gravi come si è detto, i problemi che si pongono per i magistrati che hanno invece ricoperto incarichi istituzionali presso ministeri, autorità o altre amministrazioni.
Per queste ragioni, ITALIASTATODIDIRITTO, la scorsa settimana, nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio, ha presentato a tutte le forze politiche le sue proposte di riforma, che sono integralmente consultabili sul sito.
Le proposte presentate dal Governo prevedono che il magistrato al suo rientro nel ruolo venga assegnato solo a funzioni consultive. Per quanto questa soluzione comporti la sottrazione dei magistrati che hanno ricoperto incarichi istituzionali alla funzione giurisdizionale, essa tuttavia non è idonea a restituire alla giustizia amministrativa e contabile nel suo complesso né l’imparzialità né l’indipendenza che la assunzione di incarichi extra giurisdizionali, anche solo da parte di alcuni, compromette irrimediabilmente.
La problematica non può essere risolta solo affrontando il tema del ricollocamento ex post – come fanno le proposte del Governo – ma occorre anche, e soprattutto, limitare ex ante il fenomeno del distacco dei magistrati.
A tal fine ITALIASTATODIDIRITTO crede che sia indispensabile che il percorso legislativo che ci attende si informi ai seguenti principi:
- a) limite a monte il numero di magistrati fuori ruolo, con l’introduzione di un severo limite numerico fisso, ancorato alla situazione dell’arretrato presso i Tribunali e le Corti ove svolgono servizio;
- b) precisa identificazione delle funzioni che possono eccezionalmente giustificare la sottrazione di magistrati all’attività giurisdizionale;
- c) fissazione dei criteri che garantiscano indipendenza e imparzialità del magistrato, una volta terminato il periodo di fuori ruolo (quale ad esempio l’assegnazione alla funzione consultiva per almeno tre anni);
- d) introduzione di un divieto generale di incarichi extra giurisdizionali svolti con contestuale permanenza in servizio;
- e) divieto del computo – in termini di anzianità di servizio e a fini di carriera – della attività extra giurisdizionali;
- f) attribuzione ai Consiglieri di Stato di nomina governativa di funzioni solo consultive.
Appare poi obsoleta e ingiustificata separare la giustizia amministrativa rispetto al sistema Giustizia (e l’eccesso di sua contiguità con il Governo), e urge attribuire al Ministro della Giustizia le competenze ora in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Sul fronte della governance operativa, abbiamo proposto di costituire presso ogni TAR e presso il Consiglio di Stato un organo che, sulla falsariga dei consigli giudiziari, consenta di dare adeguata rappresentanza, in una sede istituzionale e permanente, all’Avvocatura, assicurandone l’apporto partecipativo a tutte le problematiche organizzative della Giustizia amministrativa.
Crediamo che questa strada, e solo questa, tracci la via del rispetto del principio della separazione tra poteri dello Stato.
*Guido Camera è il presidente di Italiastatodidiritto
Trovi l’articolo originale su Linkiesta