La giornalista, figlia di Enzo, dirà sì ai referendum sulla giustizia: «Sbagliato non partecipare, è una questione trasversale»
Tratto dadell’8 maggio 2022
di Antonio Rapisarda
«Non si sta parlando assolutamente di referendum, dando quasi per scontato che tanto sono “persi”. O peggio: che non interessano a nessuno». Gaia Tortora invece – vicedirettore del TgLa7 e figlia di Enzo Tortora, la cui vicenda è l’emblema della malagiustizia italiana – in tutti questi anni di ciò che non funziona nel sistema delle garanzie ne ha parlato. Eccome. Per questo non accetta il boicottaggio mediatico e politico sull’appuntamento del 12 giugno. Lei – dice a Libero – farà la sua parte nello spazio di approfondimento mattutino del tg. E intanto domani interverrà nella sede dei Radicali per un convegno sugli “orrori giudiziari”: convinta com’è che a partire dai quesiti referendari si possa aprire lo spiraglio per garantire a tutti una giustizia “giusta”.
Partiamo da “Il fatto non sussiste”. Per tanti, troppi, non significa solo la fine di un percorso giudiziario ma quello di un calvario.
«Sì. Un calvario che però non finisce mai: perché poi ci sono tutte le ripercussioni. Non è che uno dice, sempre ammesso che lo faccia:” Ci scusi, ci siamo sbagliati. Adesso torni pure tranquillamente alla sua vita”. Non è così».
Per il presidente delle Camere Penali in Italia il giudizio «si esaurisce nell’incriminazione»…
«Esatto. E in questo discorso c’è una responsabilità enorme, non dico superiore a quella della magistratura ma rischia di andare di pari passo, della classe giornalistica. O meglio una connivenza che si traduce in un modo sbagliato di dare l’informazione. Un atteggiamento vergognoso».
Lei sa bene che cosa determina questo atteggiamento: sia da giornalista e sia per il cognome che porta.
«Qualche giorno fa mentre ascoltavo Radio Radicale hanno trasmesso un intervento di mio padre e in un passaggio diceva proprio questo: «lo comunque non sarò mai più quello di prima». Esatto: non tornò mai più quello di prima. Diceva sempre che l’idea di incrociare anche un solo sguardo nel quale si potesse leggere un dubbio« mi ammazza». Perché per una persona innocente questo suscita: un’onta. Una cosa di cui è impossibile liberarsi. Parto dalla storia che ha sconvolto la vita di mio padre e la nostra ma lo stesso vale per decine di vittime della malagiustizia che ho intervistato. Certo, se sei un personaggio pubblico hai la possibilità di poter rendere più visibile la verità dopo l’effetto “gogna”. Se sei un cittadino qualunque hai enormi difficoltà a fare emergere il tuo caso: e quindi finisci schiacciato».
Possibile che non sia cambiato niente da ieri a oggi?
«Niente. Perché non è cambiato il sistema e l’approccio a questo tema: vuoi che si chiami Berlusconi, vuoi che poi si chiami Renzi; vuoi che poi arrivi il M5S che ci dice che la patente di onestà ce la danno loro. Così non se ne esce».
Che cosa accomuna le storie di malagiustizia?
«Sono tutte storie diverse ma hanno un tratto comune: una dignità, una lucidità e nessun rancore verso il sistema giustizia. Perché quando c’è un giudice che ti mette dentro ce n’è poi uno, per fortuna, che sa riconoscere la tua innocenza. Ma ci vuole una compostezza fuori dal comune nel gestire una situazione che è peggio di un’atomica per una persona perbene. Uno stile che non ritrovo nelle “tifoserie” che stanno fuori. Chi sulla carta stampata, chi in politica…» .
Oltre il famoso “giudice a Berlino”, lo Stato se ne rende conto?
«Lo Stato è molto, troppo, in ritardo. Quello che è accaduto con lo scandalo del Csm è sotto gli occhi di tutti ed è stato a dir poco imbarazzante. Credo che non cambierà nulla dal di dentro, perché non mi sembra che in questa riforma Cartabia ci sia qualcosa che va ad intaccare veramente alcuni meccanismi».
Palamara o non Palamara, quel “sistema” resta intatto.
«Ho molto rispetto per il Presidente Mattarella ma su quel Csm bisognava dare un segnale immediato: azzerarlo. Non è possibile che i cittadini assistano a una cosa del genere – clientele, correnti e commistioni in magistratura – come se fosse una cosa normale. Da quella vicenda si poteva, si doveva cambiare subito».
Ciò che non cambia è l’ Anm: sarà sciopero contro la riforma…
«Non ricordo mai un’Anm che non abbia annunciato uno sciopero. Questo poi è uno sciopero preventivo. Se magari facciamo prima legiferare… Se il ricatto ogni volta è questo, qual è la novità del dopo-Palamara?».
Oltre la Cartabia – in tutti i sensi – ci sono i referendum di Lega e Radicali. Sono lo strumento giusto?
«Sì. Li sostengo come cittadina, e voterò sì. Anche se non so se la politicizzazione di questi referendum farà bene o farà male alla causa, perché inevitabilmente si accosteranno a Salvini ».
Colpa sua?
«Trovo che sia sbagliato che gli altri partiti non stiano partecipando: per paura o per timidezza. Perché la giustizia deve essere una questione collettiva e trasversale: come la violenza sulle donne. Dopodiché posso dire anche con amarezza e un sorriso che alcuni di questi referendum li ho visti con mio padre Enzo: l’ultimo quello sulla responsabilità civile dei magistrati. Dove gli italiani votarono in un certo modo e poi in Parlamento trovarono il modo di fottersene».
Se non dovessero raggiungere il quorum che ne sarà dei sogni di “giustizia giusta”?
«Si avvereranno quando politica e magistratura smetteranno di essere intrecciati fra di loro. Fino a quel momento dubito che in Parlamento possa cambiare davvero qualcosa».
Adesso ho capito qualcosa.