I rischi della medicina difensiva durante (e dopo) il Covid

I rischi della medicina difensiva durante (e dopo) il Covid

La situazione emergenziale provocata dalla diffusione del virus lascia in eredità una normativa temporanea in materia di responsabilità penale sanitaria.

Per evitare pratiche di medicina difensiva e agevolare l’operato dei sanitari impegnati in prima linea nel contrasto dell’epidemia, l’art. 3 d.l. n. 44 del 2021 ha introdotto una causa di non punibilità limitata i soli vaccini e, successivamente, a seguito dell’impegno di molti, compreso lo scrivente, l’art. 3 bis della legge n. 76 del 2021 (di conversione del predetto decreto) ha allargato il campo della limitazione della responsabilità penale, estendendola a tutti i fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p. avvenuti a causa della situazione di emergenza e connotati da colpa lieve.

Il legislatore si è anche preoccupato di chiarire che “Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, delle limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza”.

L’intervento, che costituisce una giusta misura di salvaguardia per gli “eroi” della pandemia, ha una portata temporale limitata: esso vale “per lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe”.

Ebbene, al termine dell’emergenza, perché non prendere spunto dall’intervento per costruire una normativa di rispetto che tenga conto delle peculiarità delle professioni sanitarie?

Alcuni dei criteri di valutazione della colpa grave introdotti dalla normativa attuale possono infatti valere a regime: si potrebbe allora in ogni caso tener conto della “limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto” o “della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare”.

La spada di Damocle del procedimento penale non fa bene ai sanitari e neanche ai pazienti: una maggiore serenità dei primi vuol dire una maggiore attenzione per i secondi, con vantaggio certamente per tutti.

E ciò non vorrebbe in alcun modo dire negare il risarcimento del danno richiesto civilmente dalle vittime di malasanità.

Sen. Gianni Pittella

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