Esame del CSM

Nessuno li può giudicare

Per progredire nella loro carriera i candidati in toga ogni quattro anni vengono esaminati dal Consiglio superiore della magistratura e i promossi raggiungono il livello monstre del 99,2 per cento. Un verdetto sconcertante, che dimostra come in Italia o sono tutti geni oppure c’è qualcosa che non funziona …

Tratto daimgdel 25 maggio 2022

di Maurizio Tortorella

Soltanto la scuola elementare poteva battere la magistratura italiana. La media dei suoi promossi era così alta, il 99 ,8 per cento, che nel 2017 un governo di centrosinistra ha deciso di sopprimere esami e scrutini, platealmente inutili, e ha cancellato per legge l’istituto stesso della bocciatura.

L’ipocrisia, invece, continua a sopravvivere nelle «valutazioni professionali» del Consiglio superiore della magistratura, gli esami che ogni quattro anni decidono sulla progressione delle carriere di giudici e pubblici ministeri.
I candidati in toga vengono promossi un po’ meno dei bambini in grembiule, ma arrivano comunque a livelli sconcertanti: il 99 ,2 per cento. Su un totale di 7.394 magistrati esaminati dal Csm tra il 2017 e il 2021, solo 35 sono stati ritenuti «non idonei» a una promozione immediata, e per altri 24 «non positivi» è stato stabilito un anno d’attesa per un nuovo esame. Risultato del quinquennio: un misero 0,8 per cento di «bocciati» Meno delle tracce di nitrati nell’acqua minerale.

È da questi numeri che è partita la battaglia di Enrico Costa, penalista piemontese e deputato di Azione: «Se oltre il 99 per cento delle valutazioni professionali dei magistrati è positivo” s’è detto, «i casi sono due: o sono tutti geni, oppure c’è qualcosa che non funziona».

I suoi dubbi hanno più di una giustificazione, visto che la giustizia italiana non brilla certo per clamorosa efficienza.
Al contrario, oltre che per la lentezza, è famosa per le sue performance negative.
Basta pensare alle 30.017 ingiuste detenzioni ritenute degne di un risarcimento tra il gennaio 1992 e il dicembre 2021, per un costo superiore ai 900 milioni di euro, il che significa che mediamente ogni anno più di mille innocenti vengono sbattuti in cella. O a quel 75 per cento di processi che cade in prescrizione durante le indagini preliminari, quando gli avvocati della difesa non hanno alcun ruolo. Oppure al fatto che oltre metà dei processi penali termina in primo grado con il proscioglimento dell’indagato. E che sono più di 150 mila gli imputati che, in base ai dati ufficiali del ministero, ogni 12 mesi vengono assolti definitivamente e con f orrnula piena.

«L’ultima cosa di cui la categoria dovrebbe avere paura è la meritocrazia, l’unica strumento che potrebbe davvero limitare il peso delle correnti»

Enrico Costa
Deputato di Azione

Di fronte allo stridente paradosso di un sistema giudiziario così disastroso, ma i cui primi attori vengono tutti promossi, Costa ha proposto alcuni emendamenti alla riforma dell’ordinamento giudiziario del guardasigilli Marta Cartabia, che a fine maggio dovrebbe concludere il suo faticoso iter al Senato. E nelle ultime settimane Costa è riuscito a farne approvare due che, da soli, valgono una rivoluzione. Il primo stabilisce l’istituzione del «Fascicolo per la valutazione magistrato», cioè un dossier che dovrà contenere, per ogni anno di attività di ogni pubblico ministero e di ogni giudice, «i dati statistici e la documentazione necessaria per valutare il complesso dell’attività svolta».

Il Fascicolo dovrà fornire, per esempio, numeri accurati sul rispetto dei tempi processuali. E dovrà registrare ogni «anomalia in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti adottati». Insomma, se un pm dovesse chiedere 100 rinvii a giudizio, ma 90 venissero respinti dal giudice, finalmente ne resterebbe una traccia concreta e il Csm dovrebbe tenerne conto nelle sue valutazioni di carriera. Il secondo emendamento di Costa introduce una stretta disciplinare per i pm che chiedono e per i giudici che decidono una custodia cautelare «in assenza dei presupposti previsti dalla legge»: la nuova norma permetterà sanzioni nel momento stesso in cui venga riconosciuta l’ingiustizia della carcerazione.

Non è difficile capire perché proprio queste due novità siano state alla base dello sciopero con cui il 16 maggio l’Associazione nazionale magistrati ha deciso di fare muro contro la riforma Cartabia. Era dal 2010 che la categoria non scioperava, l’adesione, che gli organizzatori prevedevano al 90 per cento, è stata intorno al 50. Prima del flop, il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, ha bollato il «Fascicolo» di Costa come «uno strumento di controllo indebito e intimidatorio». Esponente della corrente di sinistra Area-Magistratura democratica, Santalucia ha detto che «dietro le valutazioni si nasconde la voglia di gerarchizzare i magistrati, di far sentire loro il timore della soggezione al Csm». Ma Costa respinge con forza ogni intento punitivo: «L’ultima cosa di cui la categoria dovrebbe avere paura» insiste «è la meritocrazia, il solo strumento che potrebbe limitare il peso delle correnti».
E spiega: «Io ho semplicemente offerto uno strumento concreto alla legge che dal 2007 prevede le valutazioni dei magistrati per le progressioni di carriera, ma è sempre rimasta lettera morta».

Valutazioni di professionalità dei magistrati

In effetti, il sistema delle promozioni in magistratura è in questo stato disastroso dal 1966, quando una legge (firmata dal deputato Umberto Breganze, che le dette il suo nome) stabilì che la carriera dei magistrati dovesse essere automatica. Fino ad allora i criteri erano stati piuttosto selettivi, tanto che nel decennio 1952-1962 solo il 52 per cento dei magistrati era giunto alla pensione con il livello retributivo di un giudice di Corte d’appello.
Grazie a una legge del 1973, poi, ogni toga ha messo la sua carriera su un metaforico nastro trasportatore: bastava passare l’esame di Stato ed eri certo che dopo 27 anni avresti avuto il grado (e lo stipendio) di un presidente di Cassazione.

La legge del 2007 di cui parla Costa è la riforma che ha cercato di reintrodurre un minimo di controlli, per l’appunto con le valutazioni di professionalità. Una circolare del Csm dell’8 ottobre 2007 elencava puntigliosamente decine di «indicatori di capacità, laboriosità, diligenza e impegno» per giudicare i magistrati.
Per promuoverli, il Csm avrebbe dovuto valutare decine di elementi: «l’esito, nelle successive fasi e nei gradi del procedimento, dei provvedimenti giudiziari emessi o richiesti», e «le loro modalità di gestione dell’udienza, in termini di corretta conduzione o partecipazione, nel rispetto dei di1itti delle parti», ma anche «il numero di procedimenti e processi definiti per ciascun anno, in relazione alle pendenze, e il «rispetto dei termini per la redazione e il deposito dei provvedimenti»

Il problema, come denuncia Costa, è che le valutazioni non tengono mai conto di questi dati, che molto spesso non vengono nemmeno forniti. È questo a far sì che a nessun magistrato venga negata la promozione: perché nessuno, in realtà, viene effettivamente giudicato.
Il sistema, a volte, ha risultati tanto contraddittori da essere paradossali.
Basta pensare ai circa 200 magistrati fuori ruolo, e soprattutto a quanti tra loro sono eletti in Parlamento. Non lavorano più in un tribunale, eppure ogni quattro anni ottengono una regolare «valutazione di professionalità». Con tutto ciò che questo significa in termini di carriera, aumenti di stipendio e di trattamento pensionistico.

In questo campo, un record insuperabile spetta ad Anna Finocchiaro, magistrato dal 13 maggio 1981 fino al suo pensionamento, il 20 dicembre 2018. In oltre 3 7 anni, però, sono solo sei quelli nei quali la dottoressa Finocchiaro ha indossato la toga. Perché poi s’è data alla politica e nel maggio 1987, candidata per il Partito comunista, è stata eletta in Parlamento. Qui, per i successivi 31 anni, ha inanellato un invidiabile cursus honorum in tutti i partiti eredi del Pci, fino al Pd: deputato, senatore, capogruppo, presidente di commissione, ministro …
Una carriera politica a tutto tondo, insomma. Eppure, per 31 anni, il Csm ha contint1ato imperterrito a valutarla e a promuoverla, come se invece di sedere a Montecitorio e a Palazzo Madama avesse continuato a fare indagini o a sfornare sentenze. E stato per questo che l’onorevole Finocchiaro ha ottenuto sette valutazioni di professionalità, il massimo previsto.

Ogni volta il Csm ha certificato le grandi doti di «indipendenza, imparzialità ed equilibrio» di quella che in realtà era ormai un’esponente di partito, e ha sempre deciso di promuoverla per «la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno dimostrati nell’esercizio delle funzioni espletate». Aveva proprio ragione Piercamillo Davigo, quando proclamava «noi magistrati siamo i migliori». Sono così bravi che nessuno li può giudicare.

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Scarica il file

 

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *